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Enrico Corradini

La Guerra lontana

Treves, Milano, 1911


Romanzo, ambientato a Roma nei primi mesi del 1896, ha per protagonista Ercole Gola, direttore del “Giornale di Roma”. Gola era disceso a Roma con la madre dal suo paese di provincia e aveva espresso i suoi alti ideali nazionali in un libro in tre parti ("Per la bellezza di Roma", "Per la forza d'Italia", "Sopra le vie dell'antico impero"), che gli aveva procurato la stima del “poeta”. Ma, travolto dalla vita affaristica e gaudente della capitale di fine secolo, aveva finito per prostituire la propria professione a interessi di parte e al profitto personale. La crisi morale tocca la sua acme nella relazione con la donna fatale Carlotta Ansparro, che lo abbandona per il neodeputato demagogo Anselmo Lambio. Gola uccide il rivale in duello e, oppresso dal rimorso di una vita sbagliata e dai debiti conseguenti, deve dimettersi dalla direzione, cedere la testata ed emigrare in Brasile. Lo sfondo politico del romanzo è la guerra d'Abissinia del 1896, in particolare la notte della sconfitta di Adua, “guerra lontana” perché l'Italia, anche nei suoi uomini potenzialmente migliori come Gola, non ne sente la necessità morale, non la interpreta come dovere nazionale di ricalcare le orme di Roma, di “tornare” in Africa, ricollegandosi alla tradizione di grandezza del passato. Gola, simbolo di questo declino generazionale, non sa inserirsi nella nazione, sentita positivisticamente dall'autore come un organismo vivente, che include e trascende l'individuo e, assorbendolo in sé, lo eterna. L'auspicio finale del protagonista trentacinquenne è che i giovani, che immediatamente seguiranno (simboleggiati dal giovane toscano Buondelmonti, il protagonista della “Patria lontana”) sappiano compensare il fallimento presente: “Fate voi ciò che a me e agli altri della mia generazione non è stato possibile di fare”. L'auspicio è tanto più significatvo perché esposto sulla nave in partenza per il Brasile, al cospetto della folla degli Italiani emigranti: implicitamente il colonialismo africano appare la soluzione del problema dell'emigrazione. Nell'Italia e nella Roma affaristica e demagogica due sono i personaggi positivi, entrambi sostenitori della guerra d'Africa e cultori della memoria della grandezza di Roma imperiale: il poeta (vi si riconosce Giosue Carducci) e Lorenzo Orio (Alfredo Oriani), nonché sullo sfondo il Ministro (Francesco Crispi), che ha sacrificato la vita alla grandezza nazionale ed ora è vigliaccamente detronizzato dai demagoghi popolari e soprattutto da un paese idealmente separato dal suo progetto espansionistico. Nella Prefazione l'Autore collega il romanzo al suo precedente, "La Patria lontana", dove il comune epiteto segnala “il contrasto fra le condizioni presenti dell'Italia e la sua grandezza futura quale incomincia ad apparire nell'aspirazione dei migliori italiani” (pp. V-VI), fra la dispersione dell'emigrazione e la concentrazione della guerra auspicabilmente prossima, promessa di risorgimento imperiale. E se, come in "La Patria lontana", la natura dell'opera è duplice, privata e politica, la morale è unica: celebrazione del valore dell'azione, virtù storicamente di Roma, “la città creatrice dell'Eterno Umano Ideale. Talché Roma è il vero e proprio protagonista ideale del mio romanzo” (p. IX). Se non protagonista, criterio di valutazione: i personaggi 'creatori' sono 'romani', come il Ministro nel politico e Gola nel privato e potenzialmente; i personaggi distruttori sono antiromani, come il popolo soggetto ai demagoghi nel politico e la Ansparro nel privato.

romanzo

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