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Filippo Tommaso Marinetti

La battaglia di Tripoli ( 26/10/1911)-Vissuta e cantata da F.T. Martinetti

Edizioni futuriste di "Poesia",, Milano, 1912

Il testo, di 61 pagine, definito "poema vissuto", distribuito gratuitamente, a detta di Martinetti, in più di 30000 copie, è introdotto da questo avviso in grassetto, "Questa narrazione futurista fu pubblicata nell’ Intransigeant di Parigi ( "25, 26, 27, 28, 29, 30, 31 dicembre 1911), ed è concluso da un’appendice, che raccoglie le due Risposte alle frottole turche già pubblicate anche queste sull’"Intransigeant" e tese a confutare le versioni colpevoliste dei giornali anglo-americani sull’operato dell’esercito italiano. Il racconto, frantumato in otto brevi capitoli ( 1- Le sentinelle avanzate; 2- L’orchestra delle trincee notturne; 3-La battaglia; 4-Il tenente Franchini; 5- Le carambole di Scarpetta; 6-La grande sinfonia degli obici;7-Piazza volava cantando; 8-Gli obici agricoltori), segue l’andamento della battaglia, secondo un climax ascendente che dalla attesa in armi della vigilia(" Il 25 ottobre, alle tre pomeridiane, il tenente Marri e i suoi quindici fantaccini grigi stavano coricati a terra sulla cresta della collina più alta"p. 1) culmina nel lungo monologo inneggiante alla vittoria assegnato all’aviatore capitano Piazza ( Piazza volava cantando; Gli obici agricoltori), a sua volta concluso da una sorta di sberleffo futurista: " Ma non vedemmo noi, alla Bumeliana, una pingue gallina futurista che, appollaiata sul ramo più alto di un ulivo, durante la battaglia, lasciava tranquillamente cadere il suo uovo in un cassone pieno di shrapnels'"(p. 61). Sul grande fondale del deserto, il cui fascino sensuale aveva già stregato Martinetti, italiano d’ Egitto, in Mafarka le futuriste, la battaglia è costruita come una grande messa in scena teatrale ( "Noi siamo bagnati d’una luce soprannaturale, fra le palate, le valanghe di cocci e di sassi che senza posa ci getta la voce dei cani… Pessimi cantanti sfiatati! Ultima prova febbrile di un’opera, nella penombra brulicante di un grande teatro tagliato in due da un lungo getto di luce elettrica…"p. 15) di cui l’autore cura l’allestimento delle luci, la scelta cromatica e gli effetti sonori ("Il deserto con le sue fulve mandre di sabbie immensamente coricate in cerchio, […]. La pista solare è un lugubre incendio, ove camminano, abbacinate, le stanche carovane"p. 2;"tre cammelli […] si gargarizzavano dalla contentezza […] mescolando il ciac-ciac dei loro sputacchi ai tonfi regolari della pompa a vapore […]. Stridori e dissonanze futuriste, nell’orchestra profonda delle trincee dai pertugi sinuosi e dalle cantine sonore, fra l’andirivieni delle baionette, archi di violini che la rossa bacchetta del tramonto infiamma di entusiasmo" p. 7). In questo quadro, le masse di soldati, descritte sempre in modo schematizzato e indistinto, quando non addirittura ridotte a pure notazioni cromatiche o sonore di ambiente, fanno solo da coro ai protagonisti, Martinetti stesso, nel ruolo dell’inviato speciale e alcuni ufficiali, scelti tra i più spavaldi e coraggiosi: il capitano di vascello Francesco Savino, le cui “bestemmie scandono, esplosive, lo scricchiolio del piccolo cannone da marina che i mozzi maneggiano con agile gaiezza da scolari in vacanza” (p. 25); il tenente Franchini dalla “voce straziante, roca e selvaggia”, che “scoperto il capo, arruffati i capelli, colla bocca urlante […] correva davanti alla colonna, levando altissima la sciabola, perché il fiammeggiar della lama allucinasse tutti i suoi uomini, fino all’ultima fila” (pp. 27-28); il tenente Scarpetta, “dal corpo agile e muscoloso, dai gesti disinvolti e sicuri” che “proteso il corpo, la testa radente il cannone,[…] mira […] con la disinvoltura di un giocatore di biliardo”(p. 33); ma soprattutto il capitano Piazza, il coraggioso aviatore, “faccia ardita, affilata dal vento, piccoli baffi folli di volontà” che “più alto, più bello del sole […] si slancia” sul suo “grande Blériot dominatore [che] taglia brutalmente, con le due falci lucenti delle sue ali orizzontali, i grandi raggi perpendicolari dell’aureola solare”(pp. 45-46). A loro volta, peraltro, questi attori sono sovrastati da alcune personificazioni allegoriche: il fanciullo-cannone ( p.25), la mitragliatrice- femme fatale, “snella figura di donna dal busto flessuoso inguainato di velluto nero e adorno di una ondeggiante cintura di cartucce”, fra i cui “ capelli neri, o piuttosto fra i denti feroci, sboccia orizzontalmente, con uno slancio continuo, frenetico, come il più folle, il più appassionato fiore che esista, l’orchidea bianca della sua fiamma veemente”( p. 22) e, su tutte, “La Morte, giovane ufficiale dalle braccia di acciaio, dalla faccia di rame, che ha per occhi due bottoni elettrici e due pile per polmoni”(p. 45). Onnipresente, infine, il deserto, dalle “curve carnicine d’un corpo di donna”(p.4), che ora, con le dune, rivela “ giovani poppe, vive, liscie, carnali”(p. 1), ora “mette in mostra il suo seno immenso dalle curve liquefatte,” (p. 8) e svela solo nel cuore della battaglia la sua “colossale nudità di donna dalle scoppianti mammelle di bitume, sotto il dibattersi si una strana capigliatura in fiamme che non si calma più” finché “l’immenso corpo di sabbia improvvisato erge nel cielo un profilo più umano. Le sue grosse poppe nere colano in liquirizia di fumo, e il suo ventre rotola voluminosamente una danza solenne”(p. 39).

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