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Umberto Saba

Soldati che vanno e soldati che tornano dalla guerra

Mondadori, Milano, 2001

Nel volume “Tutte le prose” sono raccolti gli interventi di Saba relativi alla guerra di Libia, compreso il “dimenticato articolo”, “Soldati che vanno e soldati che tornano dalla guerra”, apparso quasi clandestinamente sulla "Voce trentina" del 10 febbraio 1912, ma datato dicembre 1911, riscoperto e ripubblicato da Carpi nel 1976 sul "Giornale storico della Letteratura italiana" ( fasc. 483). Evidenziata nel testo un’insospettabile adesione di Saba a larga parte dei temi cari alla propaganda libica, Carpi parla di "rimozione ideologica, di vuoto di memoria funzionale allo strenuo antimilitarismo propiziato nella maturità dalla traumatica esperienza delle guerre mondiali e soprattutto del nazifascismo"(p.432). Del resto, nota Carpi, Saba è in buona compagnia, giacché "mancò in letteratura quel che in politica fu l’opposizione all’impresa libica dei Salvemini ed Einaudi, dei Donati e dei Miglioli". L’articolo "Soldati che vanno soldati che tornano dalla guerra" , del resto, nonostante l’entusiasmo per una guerra capace di conferire nuovo prestigio all’Italia ( che sarà poi il tema trattato in controcanto del racconto "Lissa" di due anni dopo), è tutto costruito sul contrasto tra il fascino dell’azione militare e la pietas profonda per quei soldati morituri, " bravi giovani per i quali i beni di questa terra hanno un insostituibile valore". Sono i giovani in divisa, scapestrati e allegri , con cui Saba condivide lo scompartimento, per nulla marziali nel loro vitalismo quasi animale; è il " giovinetto con la bocca restata aperta nello spasimo e le ciglia cucite insieme con lo spago" che alla fine dell’articolo, nella parte più fortemente connotata dalla celebrazione per l’odio al nemico ( poi rinnegato trent’anni dopo nel raccontino "Il turco",) ne segna il culmine emotivo. (p.435)
Quattro anni dopo la pubblicazione di questo articolo, all’inizio della prima guerra mondiale, il binomio antifrastico guerra (morte)/ giovinezza (vita) è posto da Saba alla base del " Figlio lontano.", un racconto pacatamente antimilitarista ambientato a Roma negli ultimi mesi del 1911, che Saba pubblica sulla "Rivista ligure" nel luglio 1915. Il "figlio" del titolo è quello di un oste romano, un "volontario ordinario […]partito dal mese di ottobre per la guerra di Libia". Dopo il primo periodo al fronte, durante il quale il ragazzo, Pietro, aveva scritto a casa, "dando, in mezzo a molte soldatesche querele, le migliori notizie compatibili con lo stato di un uomo che deve passare cinque notti su dieci alle trincee, ed ha per nemico l' ’Arabo traditore’ ", le lettere cessano di arrivare alimentando nella famiglia e negli avventori i dubbi peggiori: "Era stato ferito, ucciso a Sciara-Sciat' Fatto prigioniero dai turchi'". Niente di tutto ciò, in realtà è avvenuto: anzi, le notizie portate di persona, un giorno, da un "soldato in tenuta d’Africa" informano che il ragazzo "da due settimane è alla costa, al Comando", "è a Tripoli dove fa servizio alla posta". L’interesse del lettore a questo punto è indirizzato, da un lato, sul messaggero, un giovane militare in licenza di convalescenza che, scampato al "macello" di Sciara- Sciat solo per miracolo, afferma di voler tornare "volentieri in Africa a vendicare sopra i Turchi assassini e gli Arabi traditori tanti compagni morti, sulla fine dei quali ripeteva i noti orrori", e dall’altro sulla famiglia del taverniere, ammirata da Saba per la "sobria compostezza" così lontana dalla retorica nazionalista dei luoghi comuni , dei "Turchi assassini" e degli "Arabi traditori", nonché della Libia come "riabilitazione" di Lissa e di Adua, "insospettato esempio di disciplina, di coesione delle masse, di sacrificio dei singoli", argomento nel 1913 dell’altro racconto, "Lissa", rifiutato dal "Resto del Carlino" perché "antipatriottico". In fine, nel racconto "Il Turco", di molto successivo a questi due ( pubblicato in "Scorciatoie e raccontini" nel 1946), Saba , tornando a quel clima di enfasi militaresca generato dalla dichiarazione di guerra alla Turchia, ricorda l’episodio dell’assalto, a Firenze, di un venditore ambulante di cianfrusaglie esotiche, sedicente "turco", da parte di una "ragazzaglia" al grido di "Dagli al turco" "Morte al turco", per sottolineare i risvolti razziali di una propaganda militaresca e aggressiva: "Avete ascoltato- direbbe la spicherina alla Radio- un principio di campagna razziale" (p.354).

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