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Gualtiero Castellini

Tunisi e Tripoli

Bocca, Milano, 1911

Il volume raccoglie una serie di note di diario stese nel corso del viaggio compiuto quattro anni prima in Tunisia e Tripolitania per conto della "valida associazione" " Lega navale italiana" . Due le indicazioni significative fornite dall’autore in limine: la dedica, "A Scipio Sighele con devozione filiale", e la data attribuita alla stesura della Prefazione, 1 marzo, il giorno di Adua: "Da qualche tempo noi osiamo ripensare a quel giorno come ad una tappa fatale della nostra storia, osiamo essere fieri del martirio e delle lacrime. Segno che ci ridestiamo. Il 1° marzo non è più una fine, è un inizio. La fortuna d’Italia prese le ali sul campo di Novara; la fortuna d’Italia deve risollevare le ali dalle ambe di Adua" (pp.XV-XVI). Come nazionalista, Castellini sottolinea l’urgenza di creare nel paese "una coscienza coloniale", da affiancare alla "coscienza nazionale irredentista" e assegna al suo volume il compito di fornire quella che egli definisce " preparazione culturale" alla conquista della quarta sponda, cioè la conoscenza delle "antiche vicende degli italiani nel Mediterraneo e le attuali condizioni di quelle terre, il valore dell’elemento indigeno e dell’elemento immigrato, l’atteggiamento della Francia repubblicana e della giovane Turchia di fronte all’Italia e agli italiani" ( p.IX). La monografia si articola in due parti ben distinte: la prima, Visioni d’Africa, delinea un itinerario africano che nei voti dell’autore dovrebbe diventare "il breviario intellettuale di ogni viaggiatore italiano in Barberia" e la seconda, Gli italiani in Africa nell’ora presente, è un sintetico manuale di storia, politica ed economia di quelle regioni, che ha la sua immagine simbolo nell’arena romana di El Giem, "maggiore di quella di Pola" "che ci attende da duemila anni laggiù" (p.XIV). Le Visioni d’Africa sono a loro volta scomposte in otto fascicoli di appunti: dopo un Prologo sul Tirreno, che indugia sui ricordi della repubblica marinara di Pisa, con riferimento alla battaglia navale della Meloria e citazione dei versi carducciani sui governatori della repubblicana, "Voi che Re siete in Sardegna/ ed in Pisa cittadini…", per arrivare d’un solo balzo alla spedizione dei Mille, il giornalista prosegue con la cronaca: Da Cagliari a Tunisi( pp.19-27); Per le vie di Tunisi(pp.29-41); Nell’Africa romana (pp.43-54); Islamismo e romanità in Tunisia(pp.55-68); Tripoli d’Occidente (pp.69-78); L’Oasi ed il deserto (pp.79-87); Epilogo nel Mediterraneo (pp.89-103).Castellini dialoga continuamente con le sue fonti letterarie, da Sallustio e Virgilio a Flaubert di "Salammo", a Carducci e D’Annunzio, ma le pagine migliori sono quelle dominate dalla concretezza della descrizione di una realtà nuova e diversa (" Nei souks, stretti e freschi, ferve la vita tunisina; […] le donne arabe avvolte in manti bianchi, con un fittissimo velo sempre nero sul viso; le donne ebree che, quando vestono il costume, sembrano ambulanti tende di beduini: hanno sul capo un cocuzzolo dal quale scende il mantello che le avvolge tutte, tranne il viso, e le trasforma"(p.27) " Le donne stesse, immobili come statue, inguainate in abiti coperti di scintillanti armille di falso argento, si appoggiano allo stipite della porta e guardano silenziosamente. Non un grido, non uno schiamazzo, mai."(p.39) o i quadretti di paesaggio, soprattutto le albe e i tramonti : "Il tramonto dà al cielo e alle case di Kairuan i colori più vivi e più pittoreschi: la tonalità bianca degli edifici si attenua in una soffusa tinta rosea dopo il calar del sole, e il cielo diventa d’un azzurro cinereo che i nostri orizzonti d’Europa non conoscono. Allora anche i palmizi si fanno più oscuri e incomincianoa tremolare per la brezza di terra. Tutto tace nella città; soltanto qualche grido di bimbo e l’ululato fastidioso di un cane; è una sera d’Africa. Poi, a poco a poco, la luna incomincia a salire, e le stelle appaiono ad una ad una. La città bianca dorme." (p.61).Più ideologica la seconda parte che si organizza intorno a questo assunto: l’Italia, che per ignavia o miopia politica ha perso l’ opportunità di conquistare la Tunisia, dove pure si respirano a tutt’oggi cultura e tradizioni italiane (cap. IX, Tradizioni italiche in Barberia- il Passato, pp. 107 -122, e Italiani e Francesi in Tunisia- Il Presente p.123-153.), non può permettersi di fallire la conquista della Tripolitania (Italiani e Turchi in Tripolitania- l’Avvenire, pp.155-191). Per l’occasione, Castellini recupera da Livio, deformandola in senso colonialistico, l’immagine di Catone che, solo, davanti al Senato, pronuncia l’ostinata frase Delenda Carthago, per "incitare i suoi concittadini ad un’impresa coloniale" accompagnandola "con una dimostrazione molto semplice della ricchezza della futura colonia: con la leggendaria ostensione delle mirabili frutta africane"(p.155), "frutta africane" che vengono a sostituire il modesto cesto di fichi freschi esibiti da Catone, secondo la tradizione storiografica, con tutt’altro scopo: dimostrare con la loro freschezza la vicinanza di Cartagine a Roma, sottolineare i pericoli ad essa connessi e dedurne la necessità di una guerra preventiva tesa a distruggere la rivale. Castellini, invece, per tutto il capitolo continua a insistere sulla eccezionale fertilità della Libia, soprattutto della Cirenaica, "piccolo Eden", "nuova Sicilia africana", così come dimostra tutta una letteratura "geografica", da Erodoto all’oggi. Il capitolo conclusivo, come indica lo stesso titolo Andiamo a Tripoli', ha un carattere decisamente politico. Anzitutto Castellini ricostruisce le tre occasioni propizie per "scendere a Tripoli" mancate dall’Italia negli ultimi tre anni, anche a fronte di evidenti provocazioni turche, marchiando tutta questa politica estera con "il carducciano verso bestemmiatore: La nostra patria è vile"(p.215); successivamente, elenca le motivazioni per un cambiamento di politica coloniale, dalla semplice penetrazione commerciale alla vera e propria occupazione militare("Risolvendo il problema di Tripoli, noi concorreremo alla soluzione di un problema interno- quello dell’emigrazione- e di un problema estero, di sicurezza e di dignità", p.222).

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