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Umberto Saba

Il Figlio lontano

Mondadori, Milano, 2001

Nel volume “Tutte le prose” sono raccolti gli interventi di Saba relativi alla guerra di Libia, compreso il “dimenticato articolo”, “Soldati che vanno e soldati che tornano dalla guerra”, apparso quasi clandestinamente sulla "Voce trentina" del 10 febbraio 1912, ma datato dicembre 1911. Quattro anni dopo la pubblicazione di questo articolo, all’inizio della prima guerra mondiale, il binomio antifrastico guerra (morte)/ giovinezza (vita) è posto da Saba alla base del " Figlio lontano.", un racconto pacatamente antimilitarista ambientato a Roma negli ultimi mesi del 1911, che Saba pubblica sulla "Rivista ligure" nel luglio 1915. Il "figlio" del titolo è quello di un oste romano, un "volontario ordinario […]partito dal mese di ottobre per la guerra di Libia". Dopo il primo periodo al fronte, durante il quale il ragazzo, Pietro, aveva scritto a casa, "dando, in mezzo a molte soldatesche querele, le migliori notizie compatibili con lo stato di un uomo che deve passare cinque notti su dieci alle trincee, ed ha per nemico l' ’Arabo traditore’ ", le lettere cessano di arrivare alimentando nella famiglia e negli avventori i dubbi peggiori: "Era stato ferito, ucciso a Sciara-Sciat' Fatto prigioniero dai turchi'". Niente di tutto ciò, in realtà è avvenuto: anzi, le notizie portate di persona, un giorno, da un "soldato in tenuta d’Africa" informano che il ragazzo "da due settimane è alla costa, al Comando", "è a Tripoli dove fa servizio alla posta". L’interesse del lettore a questo punto è indirizzato, da un lato, sul messaggero, un giovane militare in licenza di convalescenza che, scampato al "macello" di Sciara- Sciat solo per miracolo, afferma di voler tornare "volentieri in Africa a vendicare sopra i Turchi assassini e gli Arabi traditori tanti compagni morti, sulla fine dei quali ripeteva i noti orrori", e dall’altro sulla famiglia del taverniere, ammirata da Saba per la "sobria compostezza" così lontana dalla retorica nazionalista dei luoghi comuni , dei "Turchi assassini" e degli "Arabi traditori", nonché della Libia come "riabilitazione" di Lissa e di Adua, "insospettato esempio di disciplina, di coesione delle masse, di sacrificio dei singoli", argomento nel 1913 dell’altro racconto, "Lissa", rifiutato dal "Resto del Carlino" perché "antipatriottico". In fine, nel racconto "Il Turco", di molto successivo a questi due ( pubblicato in "Scorciatoie e raccontini" nel 1946), Saba , tornando a quel clima di enfasi militaresca generato dalla dichiarazione di guerra alla Turchia, ricorda l’episodio dell’assalto, a Firenze, di un venditore ambulante di cianfrusaglie esotiche, sedicente "turco", da parte di una "ragazzaglia" al grido di "Dagli al turco" "Morte al turco", per sottolineare i risvolti razziali di una propaganda militaresca e aggressiva: "Avete ascoltato- direbbe la spicherina alla Radio- un principio di campagna razziale" (p.354).

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