Il Corriere della Sera
Arnaldo Fraccaroli
Giornalisti alla guerra
Domenica, 22 settembre 1912- Anno 37- Num.264, pp 3
L’ampio articolo ha un tono goliardico e stigmatizza alcune manie e debolezze degli inviati al fronte, di cui racconta la vita quotidiana sia a Tripoli che in Cirenaica: a Tripoli "si poteva quasi mangiare e quasi dormire. Nel modo di star male c’era almeno la possibilità della scelta. Ma in Cirenaica mancava e manca spesso tuttavia anche questa soddisfazione". Interessante il rapporto ironico che l’A. instaura fra esercizio dell’attività giornalistica e la poesia, propria o altrui, stigmatizzando con umorismo l’ubriacatura dannunziana: " La poesia fra i giornalisti di guerra è sempre stata qui un grande alimento. A Bengasi e a Derna ha imperversato e rifiorisce talvolta tuttavia un collega eccellente dicitore di versi, grande declamatore di poesie dannunziane […] Egli ha un debole marcatissimo per la "Canzone di Garibaldi" anche perché è l’unica che ricordi a memoria. […] La canzone dannunziana è meravigliosa, ma la ripetizione minacciava di diventare tragica. […] Adesso quando si vuol chiudere una lunga discussione noiosa o si vuol dare il segno della partenza o si vuol mandar via qualcuno si urla a gran voce:- La "Canzone di Garibaldi"!". E per quel riguarda le improvvisazioni metriche dei colleghi: " I versi vengono per solito fabbricati a pranzo, fra un piatto e l’altro, fra una mosca e l’altra:" " il mese scorso, la sera della vigilia del Ramadan, un giornalista bel giovane […] creò di getto un piccolo poema d’occasione che si iniziava con questa quartina: Ramadan è quella cosa/ che vien dopo la vigiglia/ se qualcuno è di Siviglia/ non c’è dubbio è uno Spagnol. Versi magari non completamente soccorsi da una grande linea classica, ma ai quali non si può in alcun modo negare un largo significato internazionale".