Il Corriere della Sera
Arnaldo Fraccaroli
Zauie e moschee
Venerdì, 2 agosto 1912- Anno 37- Num.213, pp 3
L’articolo, di impianto etnografico, introduce i lettori alla differenza tra le moschee e le"zuaie", "luoghi di ritrovo delle varie corporazioni di fedeli […] mussulmani infervorati di ardore religioso, i quali si ritrovano per celebrare speciali funzioni con riti assai strani e severi". Si specifica che ogni zuaia deriva da uno dei quattro riti islamici: Hanafi, Maliki, Scefiai e Hambali e che a Derna, dove il giornalista si trova, i fedeli locali sono Maliki, mentre i turchi sono Hanafi. Un’attenzione particolare è dedicata a quella vera religione nella religione rappresentata dai Senussi, la potentissime e ben organizzata confraternita fondata dal "dottissimo ed esaltato" Seid Mohamed Ben Alì El Senussi "la cui origine è contesa da Bjals in Tripolitania e dalla tribù dei Beni Senus di Tlemscen". Le zauie senusse, piccole case sparse all’interno della Cirenaica, sono descritte soprattutto nel loro aspetto organizzativo ed economico: "hanno intorno dei giardini, molto bestiame accumulato con doni e lasciti,molto orzo, e alcuni schiavi negri che lavorano il terreno". ""Tutti gli sceicchi delle zauie […] dipendono direttamente dal Gran Senusso di Cufra" "L’organizzazione dei senussi […] si è saputa sostituire anche al Governo imponendo tasse e amministrando la giustizia e raccogliendo armi". Passando dal generale al particolare, di ’vita vissuta’, Fraccaroli parla della pittoresca zauia di Ben Aissa, il capo della quale "il buono e mite Abd-el-Gelil, che insegna ai suoi discepoli il modo di piantarsi i chiodi nella pancia e di mangiare spezzatini di cristallo", ha ospitato il giornalista alla cerimonia del venerdì, raccontandogli, fra l’altro, di una miracoloso trasformazione annuale dell’ acquadi un pozzo in latte oggetto di ironia da parte dell’autore dell’articolo, ironia che, combinata a un tono di superiorità razzista, investe tutto il testo: gli arabi pacchiani nei loro abiti a festa ( " i notabili sfoggiano le scarpe di vernice e la taghìa rossa") o miserabili accattoni, i negozianti avidi, che "chiudono per un paio d’ore i suk per contentare Maometto e li riaprono subito dopo per contentare i soldati italiani". La seconda metà dell’articolo si concentra su una funzione "strana e impressionante" svoltasi nella zuaia dei Ben Aissa, a cui il giornalista ha assistito e che viene descritta in modo minuzioso: prima si tracciano le linee principali dell’ambientazione ( "verso la strada c’è un fabbricato a due piani […] Nel mezzo il cortiletto bianco, e dall’altra parte, bene in vista come un palcoscenico e aperta da un portale grande e da due finestre la zauia, la sala quadrata dei riti.), poi si fotografano i personaggi protagonisti ( lo sceicco, "in piedi, all’ingresso", con l’"espressione mite e sorridente, una piccola barba rotonda brizzolata, un burnus nero aperto sul camice bianco e dignitosamente rappezzato alle falde"; i fedeli che si tolgono le ciabatte, entrano e baciano la mano dello sceicco, "vechi arabi curvi sotto barracanoi grigi", "giovani alti magri diritti e fieri" "negri luccicanti dal cranio a fiasco dai denti bianchissimi" "giovinetti pallidi esangui in mantelli d’un candore sbalorditivo".), infine si racconta la cerimonia : i suonatori che accordano gli strumenti, fra loro e con il cantore, "giovane atletico che si appresta a cantare per tre ore senza mai sostare", l’aloe e l’incenso bruciano nel braciere, i fedeli cominciano ad innalzare invocazioni ritmiche cui si accompagna il movimento frenetico del corpo, fino al parossismo, come in una "frenetica orgia". In fine, con evidente sollievo del giornalista, la musica tace, il movimento cessa: i fedeli "si riammantano nel barrcano, riprendono le ciabatte, baciano la mano allo sceicco e se ne vanno tranquillamente, come se fossero persone normali[…]. Usciamo anche noi, nel tramonto. Ah, respirare un po’ d’aria pura…"