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Il Corriere della Sera

Luigi Barzini

Pagine d’epopea nella vittoria di Bengasi

Episodi di valore, di sacrificio e d’entusiasmo

Lunedì, 18 marzo 1912 – Anno 37- Num. 78, pp 1

L’articolo è a tutta pagina. Dopo aver premesso che le notizie della battaglia del 12 erano state troppo sintetiche, per la fretta di inviare un primo dispaccio via Tripoli, Barzini ora "riconduce il lettore al campo di battaglia in quella vasta spianata pietrosa senza ripari, di fronte alle posizioni nemiche, nel momento in cui la nostra fanteria avanza in catena allo scoperto, senza potersi scavare una trincea, mentre raffiche spaventose di piombo passano lacerando l’aria col loro intenso furibondo penetrante coro di sibili". Dal centro della battaglia, paragonata ad una bolgia dantesca, il giornalista illumina con dei flashes, che corrispondono ai sei paragrafi ( Il frastuono della battaglia; Ameglio al fuoco; Come il ghibli…; La fossa dei fichi; Mirabile eroismo; Nella bolgia nemica), alcuni personaggi ed episodi di particolare valore. Anzitutto, il generale Ameglio, che "dirige la battaglia sotto al fuoco, calmo, in piedi" e, mentre "il suo volto bruciato dal sole, sul quale spicca vivamente il candore dei baffi, assume una impassibilità severa; il suo chiaro sguardo si fa duro, penetrante", "parla con voce pacata e soltanto per dare ordini ai auoi aiutanti"; poi, il sottotenente Trani, "un giovane snello, sbarbato, dall’aria quasi di fanciullo", che porta la bandiera e la spiega al segnale d’attacco e "si mette davanti a tutti rigido, solenne, tutto compreso dall’alta missione che gli è affidata", del quale "un colonnello, rievocando più tardi gli episodi della giornata" dirà:"- Quel ragazzo ha dimostrato l’imperturbabulità d’un fakiro". Ed ancora, i cavalleggeri del colonnello Bersarelli, che si slanciano verso una colonna nemica e "il reggimento è ora tutta una lunga nube che si sfrangia alla brezza; pare quasi che un soffio di tempesta solchi la pianura, un colpo di ghibli"; e infine "un nero atletico colla scoscia rossa il quale spara più degli altri, sempre curvo sul calcio del fucile. Una palla lo fulmina", ed egli si inabissa repentinamente alzando le mani in un gesto disperato. L’articolo contiene inoltre un elenco di atti di eroismo di ufficiali caduti baciando la bandiera come il maresciallo Dellarmi o difendendola come i tenenti Gullo, Tonello e Ricciuti o un anonimo soldato del cinquantasettesimo che, ferito alla testa, combatte ancora perché "è vicino alla bandiera e non vuole ritirarsi per non abbandonarla". Si delinea così una vera epopea del soldato italiano, che cerca in Libia il riscatto alla propria miseria di emigrante e la riscoperta delle antiche glorie della nazione: " Il nostro soldato è così. Questo umile lavoratore che arricchisce orgogliosi continenti colla sua opera oscura, che allaccia le ferrovie di tutto il mondo, che è il più possente e riconosciuto motore della civiltà, ha ritrovato intento un patrimonio di gloria di cui egli stesso non si rende conto, ha ritrovato lo spirito guerriero e la tempre da conquistatore della sua razza".

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