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La Domenica del Corriere

Tomaso De Filippis

La profezia di Mustafà Fazil

8-15 Dicembre 1912,-Anno XIV-Num.49, pp 9

La profezia nel titolo è quella espressa nel 1867, "anno d’infinite calamità e di grandi scoramenti", dal "famoso pascià Mustafà- Fazil", in una "coraggiosa lettera" indirizzata al Gran Visir in occasione dello scioglimento della Camera, lettera in cui si evidenziava come " L’agricoltura, il commercio: tutto decade nell’Impero: i popoli sembrano aver perduto il bisogno e l’arte di produrre […] s’avviano verso l’inevitabile abisso; essi non risorgeranno più". Ma il De Filippis, dopo aver stimolato la curiosità del lettore con il titolo sibillino, fa precedere lo svelamento della profezia da una serie di antecedenti, individuati sia in area turca che in area europea. "Già il dottissimo Savas pascià- laureato in medicina e chirurgia in una Università d’Italia- nel suo Etude sur la théorie du droit musulman aveva chiara la visione di quello che i nostri occhi mortali vedono con non dissimulato giubilo. Già Ahmed Vefyk, morto pochissimi anni or sono, aveva detto: " La Turchia ha più bisogno di uomini di talento che di coraggio: senza di essi la sua caduta sarà inevitabile". Egli, uno dei pochi uomini intelligenti che potesse vantare l’Impero, aveva fondato scuole e stabilimenti industriali", ma inutilmente, perché, secondo il De Filippis, "L’anima musulmana [sic]- fanatica ignorante, feroce- non si cambia […] gli antichi pirati non diverranno mai dei soldati d’onore: i discendenti dei popoli del Caucaso e dei turcomanni non possono, non potranno nutrire idee di giustizia e di umanità". D’altro lato, De Filippis si appoggia anche alle notazioni del prof. Seetzen sulla mancanza di cultura dei Turchi ( " in Turchia è chiamato sapiente chi sa appena leggere e scrivere") e su quelle del maresciallo Moltke, che nel 1841 "compì il suo lunghissimo viaggio in Turchia" e che ne parlò come della "variopinta stracciona dell’Oriente", per affermare che dopo le disfatte , "da Kurt-Kalé a Kirk-Kilisse a Buna-Hissar e Ciatalgia", la "grandezza [dell’Impero turco] non è nemmeno un ricordo, […] il decantato coraggio dei suoi soldati […] una stolta leggenda" e "Quelle orde barbariche che una tempesta di vento malsano ha spinte in Europa dalle natie steppe asiatiche, saranno ricacciate lontano, oltre il Bosforo, ove non sia loro concesso il più piccolo contatto con i popoli civili. Del resto: non era ancor questa la profezia di Mazzini e di Garibaldi?".

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